Alto m 49 s.l.m., è noto anche come Monte dei Cocci perché costituito da testae (nome latino dei frammenti di anfora). E’ infatti il risultato di un accumulo metodico e protratto nel tempo di anfore contenenti olio che, scaricate nel vicino porto fluviale costruito alle fine del II secolo a.C., dopo lo svuotamento venivano sistematicamente spezzate e ridotte in frammenti prima di essere trasportate e depositate in un’area adibita a discarica a ridosso dei magazzini (horrea). Diversamente dalle anfore destinate al trasporto di prodotti agricoli, le anfore olearie, provenienti in massima parte dalla Betica (attuale Andalusia), non erano riutilizzabili a causa della rapida alterazione dei residui di olio. Il problema dello smaltimento rapido ed economico delle anfore, nel rispetto delle norme igieniche, fu risolto con una discarica, ove da epoca augustea i frammenti di questi voluminosi «vuoti a perdere» vennero accatastati con la massima economia di spazio e con la sola deposizione di calce. Quest’ultima, destinata ad eliminare gli inconvenienti causati dalla decomposizione dell’olio, ha rappresentato per i cocci anche un ottimo elemento di coesione.

Ciò conferma come sulla formazione del monte abbiano vigilato dei curatores, funzionari pubblici che regolamentavano gli scarichi, garantendone la manutenzione e la massima efficienza. Sulle modalità degli accumuli e la cronologia, tradizionalmente compresa in un arco di 270 anni (da Augusto a Gallieno), preziose notizie sono fornite dalle iscrizioni presenti sulle anfore frammentarie, molte delle quali conservano il marchio di fabbrica impresso su una delle anse, mentre altre presentano i tituli picti, note scritte a pennello o a penna, in nero o minio. Tracciate in parti diverse dell’anfora, le scritte offrono diverse informazioni come il peso dell’anfora vuota e del contenuto, i nomi dei mercatores, il luogo di spedizione, il nome dell’olio e del produttore. Questi ed altri dati giustificano per il monte la definizione di archivio a cielo aperto, singolare per proporzioni e per tipo di documenti di straordinario valore sull’entità del commercio di Roma antica.

 

(A. M. Ramieri)

 

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